Ti ricordiamo così

Il tempo non ha affievolito l’affetto e la stima che Elio aveva guadagnato. Riviviamo la sua carriera nelle testimonianze di personaggi che ne riassumono stile e qualità

Elio De Angelis, trent’anni dopo. Centotto Gran Premi, due vittorie, tre pole. I numeri paiono ricami ugiardi, dicono ma non spiegano. Annaspano, fanno fatica a giustificare il cuore e la stima che continuano a scaldarsi per il pilota romano, che in quel magico 1985, visto come l’anno di Alboreto e della Ferrari, dopo Monaco era in testa al Mondiale, proprio davanti a Michele. Da lì in poi, niente andò più bene. La sua Lotus, la politica, i delicati equilibri interni, la scelta d’andarsene e dove, l’arrivo in Brabham, la strana Bt55 e ciò che ne seguì, fino a quel maledetto giorno al Ricard. Un anno da incubo, a finale tragico. Da Montecarlo a Montecarlo. Nel 1985 leader del mondiale, nel 1986 inconsapevole e anonimo outsider, all’ultimo Gp della sua vita.

No, maledizione. Non è giusto. E, trent’anni dopo, il senso d’indignata ribellione per questo destino echeggia e trasmuta – come se i sentimenti positivi fossero energie rinnovabili – in un immenso affetto e nella voglia di non dimenticare.

Cosa? Tante cose, di Elio.

La sua passione immensa, bambina ma dall’intensità già adulta fin dai tempi del kart. Quella personalità forte che gli si compose dentro tanto presto e così bene, rendendolo, a poco più di vent’anni, un uomo pronto a rischiare tutto per la vita che s’era scelto, sfoggiando luminoso talento e stile. Con le tasche del ricco, certo, ma con l’anima indurita dalla caparbietà sofferta dell’umile. Sempre.

La forza interiore con la quale seppe resistere al 1978 tribolato in F.2, retrocedendo per un weekend in F.3 e andando a vincere il Gp di Montecarlo, chiudendo addirittura l’ipotesi di un futuro in Ferrari perché troppo vago. E aprendosi una via in F.1 nel 1979 con la moribonda Shadow, team allo sbando, senza soldi e senza avvenire, che con lui in un pomeriggio di pioggia al Watkins Glen avrebbe visto e vissuto un ultimo e incredibile hurrà.

Elio con la vecchia Dn9B che dopo un’annata d’inferno, cessata la pioggia, cambia le gomme e si mette ad andare da Dio, infilando tutti o quasi. Il muretto Shadow che impazzisce, il vecchio Don Nichols ammutolito, Jo Ramirez con gli occhi sbarrati e papà Giulio De Angelis che a ogni giro fa le corna per scaramanzia. Lui giunse quarto e sfiorò il podio guidando un indebitato cancello rugginoso. Questo era Elio de Angelis. Col suo modo di essere e di correre. Aggressivamente pulito.

Quindi il test d’ingresso e l’assunzione in Lotus. Un sogno. Da bimbo voleva essere Jim Clark, da grande si ritrovava Chapman al muretto. A lanciare in aria il capellino quando, in Austria 1982, colse l’ultimo trionfo per Colin, che sarebbe mancato a fine anno.

Da lì la nuova sfida. Far risorgere la Lotus. Divenendo molto più d’un pilota. Restando l’anima del team che intorno a lui sarebbe rifiorito, mentre il compagno Mansell beccava – per anni – un secondo al giro. Ricordiamocele, ’ste cose.

Elio, l’Uomo Nero. Casco Simpson Bandit incazzatissimo, visiera scura, colori nero-oro e pedalare.

Poi il 1985. Arriva Senna, okay, ma Elio vincendo il Gp di San Marino riporta la Lotus in cima al mondiale. Un uomo non può scegliere il finale della sua vita, ma coloro che lo hanno amato, quest’uomo, tanti anni dopo, rivivendolo a ritroso, hanno il diritto di fermare la pellicola nel momento che più lo rappresenta. Questo. Con Elio romanticamente davanti a tutto e tutti.

Roberto de Angelis

Elio era un bel pilota e un uomo buono

Quella dei De Angelis è una famiglia coi motori nel dna. «A partire da mio padre Giulio – ricorda Roberto, fratello di Elio – motonauta d’alto livello che ci ha instillato la passione. Da lì per Elio, me, di un anno più giovane e Andrea, classe 1962, è venuto logico correre in kart, dove lo stesso Elio iniziò a 12 anni, ottenendo come miglior risultato il 2° posto nel mondiale al Ricard, nel 1975. Poi passò alla F.3 e al primo test si dimostrò più veloce di Patrese che gli collaudava la macchina. In F.3 si lanciò, tra l’altro vinse nel 1978 anche il Gp di Monaco, ma fu rallentato in F.2 dal motore Ferrari che non era sviluppato, tant’è che chiamò il Drake e gli disse che non poteva essere contento di arrivare ottavo, lui che voleva arrivare in F.1, aggiungendo che sarebbe restato solo nell’ottica di diventare pilota Ferrari nei Gp. Ma non fu così. Anche se, in occasione del Gp di Long Beach 1978, Elio fu in preallarme fino all’ultimo, perché Villeneuve era indisposto a causa degli orecchioni. Poi la F.1. La delusione con Tyrrell, la poca competitività della Shadow e la Lotus, che non era più quella di una volta, ma che pure Elio portò al successo. Quindi i suoi sforzi per prendere Ducarouge e ritrovarlo schierato con Senna, a inizio 1985. Ecco, se mio fratello fosse stato più freddo e calcolatore, avrebbe ottenuto di più, ma lui in fondo era un buono.

Era un ragazzo generoso, allegro, tifava per la Roma e dalla carriera meritava tanto di più. È morto per un incidente in un test che non doveva spettare a lui, nel quale fu chiamato all’ultimo istante per sostituire Patrese. Era destino… Tuttavia ci consola pensare che Elio, il cui miglior piazzamento iridato è 3° nel mondiale ’84, tra i tifosi ha lasciato un gran bel ricordo».

Beppe Gabbiani

Nei kart formavamo un grande gruppone

Tra coloro che hanno frequentato Elio nella prima parte della carriera, Beppe Gabbiani è uno degli amici più stretti: «Si correva in kart e i De Angelis pure in pista erano una grande famiglia – racconta Beppe -, con Elio, Roberto e Andrea, mentre la sorella Fabiana – diventata successivamente moglie di Ross Cheever -, tifava per loro dai box. Erano tutti bravi, anche se Elio era forse il più dotato. Era velocissimo e più riflessivo di me. In pista ne capitavano di ogni, una volta a Elio finì l’indice nel posto sbagliato, sotto al carburatore, tra pignone e catena e si amputò una falange, così noi tutti a cercarla…». Dopo il kart, nel quale Elio fu vicecampione del mondo, arrivarono le monoposto:

«In F.3 nel 1977 emergemmo io e lui come italiani e conta che correva gente forte tipo Piquet e Warwick, poi ci bloccò un po’ l’annata 1978 in F.2 coi motori Ferrari, lui con Minardi e io con Trivellato, ma lui passò a fine anno alla Chevron-Hart e tornò sul podio.

Quindi venne la F.1 e lui dalla Shadow riuscì a trarre qualcosa. Ci siamo rivisti nel 1981, quando correvo con l’Osella e lui in Lotus, poi nel 1986 c’eravamo dati appuntamento a cena dopo il test al Ricard, che per lui si rivelò fatale. Non ho mai metabolizzato questa cosa, non sono neppure andato al funerale. Qualche hanno fa ho superato il trauma a Monza, quando io e Pirro abbiamo girato sulle Lotus di Elio, di proprietà del figlio di Colin Chapman, in occasione del weekend del Gp di F.1 storica. È incredibile, Elio era uno che non sbatteva mai, in tutto ha avuto un paio di incidenti e uno ce l’ha portato via…».

Mauro Forghieri

La sua una famiglia dai valori forti e veri

L’ingegnere Mauro Forghieri ha due ricordi distinti di Elio De Angelis, uno da pilota, l’altro, sorprendente e quasi inatteso, da improvviso ospite dei De Angelis, in un capodanno a Porto Cervo, in Sardegna. «Come pilota era forte – ricorda Forghieri – un ragazzo molto veloce e dotato di testa. Lo ricordo provare per noi a Fiorano sulla 312 T3 e mostrarsi subito molto performante, anche se poi alla cosa non seguirono sviluppi». L’altro è uno spaccato squisitamente umano: «Un incontro per caso, a capodanno, a casa De Angelis presso Porto Cervo. Finimmo per passare insieme la festa e scoprii una famiglia semplice, calda, col senso dell’accoglienza e tanti valori veri.

Ecco, fu bellissimo, perché quell’ambiente spiegava esattamente il modo di essere di Elio, sicuramente di buona famiglia e allo stesso tempo verace e piacevole come persona. Uno dei pochi capaci di suonare un pianoforte e di spremere il meglio da una monoposto».

Jan Lammers

Alla Shadow lui era più veloce e maturo

Jan Lammers è stato il primo compagno di squadra di Elio De Angelis in F.1, nel 1979, all’interno della Shadow: «Eravano entrambi molto giovani, dalla parte giusta dei vent’anni e tutti e due debuttanti nel mondiale. Chiaramente davo molta importanza al nostro confronto, ma devo riconoscere che Elio, benché di due anni più giovane di me, come pilota era molto maturo e, specie nella prima parte della stagione, risultava difficile avvicinare i suoi tempi. Le cose migliorarono un poco nella seconda parte, ma la verità è che il team Shadow era completamente alla frutta, i soldi erano finiti, le evoluzioni tecniche non c’erano e ben presto la stessa affidabilità divenne un grande problema, perché avvenivano le tipiche rotture di pezzi che da tempo avevano raggiunto la fine del chilometraggio.

In tutta la stagione ci fu una sola evoluzione, relativa a una sospensione. Roba da niente… Quanto ad Elio, al tempo vivevo le cose con preoccupazione e concitazione, ma ripensandoci a ritroso non posso che apprezzare il suo spirito scanzonato, la sua capacità di sorridere anche quando le cose non andavano troppo bene e le tante risate fatte insieme a lui e a Jaime Manca».

Jo Ramirez

Quando fece scuola guida a Ongais

Nel 1979, dentro la Shadow alla sbando, Jo Ramirez è uno dei pochi punti fermi: «Elio all’ultimo momento aveva preferito non andare alla Tyrrell e alla Shadow aveva portato 100mila dollari, dallo sponsor Staroup Jeans e dalle casse di famiglia, visto che poteva. Era un ragazzo stupendo. Lo ricordo al Ricard in prova col nostro terzo pilota, l’hawaiiano Danny Ongais, che sentiva sottosterzo a Signes e chiedeva lumi a Elio. Lui gli disse: “Danny, se tieni giù il piede, il sottosterzo sparisce. Devi pigiare l’acceleratore: questo è ciò per cui quel pedale è stato fatto”. Ongais tornò in pista dette retta a Elio, tolse un secondo e mezzo al suo tempo e poi non guidò mai più per noi». Per Elio il riscatto del difficilissimo 1979 avviene al Gp Usa al Watkins Glen, dove imbrocca la gara della vita. Racconta Ramirez: «Piove, poi smette, Elio è tra gli ultimi a fermarsi e decidiamo di giocare un jolly, montando gomme anteriori da qualifica. Lui va alla grande ed è quarto. La sera abbiamo festeggiato quel quarto posto come una vittoria e lui trovò un vecchio pianoforte per eseguire entusiasta i suoi pezzi forti. Al Glen aveva salvato la sua stagione e presto sarebbe approdato in Lotus».

Mario Andretti

Un pilota veloce e un grande signore

Elio arriva alla Lotus per la stagione 1980, dove ad attenderlo è il confronto diretto con Mario Andretti. E proprio a “Piedone” tocca di ricordare quell’annata intensa ma sfortunata: «Con Elio De Angelis ho corso insieme nell’ultima mia stagione in Lotus. Si presentò sfoggiando due qualità importanti: era molto veloce in pista e nella vita si muoveva con la classe del grande signore, anche se aveva poco più che vent’anni. In realtà per noi con quella vettura c’era poco da fare. Ci sarebbero voluti dei rinforzi nel telaio, ma Colin Chapman era completamente contrario a queste cose. Per lui aggiungere peso a una sua monoposto non era neppure concepibile. Inoltre, ormai lo vedevo un po’ distratto.

Tanto che per Elio il miglior risultato arrivò a inizio stagione, con un bel secondo posto al Gp del Brasile, mentre io mi dovetti accontentare di un solo punto, ma con Chapman mi lasciai più che bene, tanto da poter condividere degli splendidi ricordi». Il finale è singolare: «Richiamai Elio a fine 1982, per chiedere lumi sulla morte di Chapman. Be’, non l’avevano fatto vedere neppure a lui… Ma non mi chiedere se penso chissaché… Semplicemente neanche Elio, che gli aveva regalato l’ultima vittoria, aveva potuto dare l’addio a Colin».

Keke Rosberg

Vinse battendomi in volata e lo meritò

Il grande giorno della prima vittoria nel mondiale di F.1 per Elio De Angelis arriva al Gp d’Austria 1982, con la Lotus, riuscendo a battere d’un soffio la Williams di Keke Rosberg, peraltro lanciatissimo verso il suo primo titolo mondiale. Ecco il ricordo del papà di Nico: «Se c’era un pilota con cui legavo, quello era Elio. Spesso mi sono chiesto se quel pomeriggio al posto suo ci fosse stato un altro come mi sarei comportato… In realtà si trattava di una curva molto veloce e Elio si comportò esattamente come avrebbe dovuto, di fatto bloccandomi all’interno. Quanto a me, avrei potuto tentare con aggressività all’esterno, ma c’era la concreta possibilità di finire contro il guard-rail».

Alla fine Keke si accontenta del secondo a 5 centesimi da Elio: «Non ho alcun rimpianto, quello era il suo giorno e non il mio. Eppoi ormai la mia prima vittoria era solo questione di giorni, sentivo che ormai ero maturo, tanto che due settimane dopo riuscii a vincere un Gp pareggiando il conto con Elio, che con me fu molto carino».

Peter Warr

Forse gli mancava solo la... cattiveria

Dopo la morte improvvisa di Colin Chapman, avvenuta il 16 dicembre 1982 a Norfolk, il timone Lotus viene preso da Peter Warr, che traghetta il team di F.1 facendo leva proprio su Elio e non trovando nell’altro pilota, Nigel Mansell, la stessa confidenza ispirata dal romano. Warr, scomparso nell’ottobre 2010, su Elio la pensava così: «Al mio ritorno al la Lotus, trovai questo pilota italiano, che per certi versi saltava subito all’occhio in quanto era singolare quanto originale. Non disdegnava di fumare qualche sigaretta, suonava il pianoforte e se c’era da bere mezzo bicchiere di whisky, lo faceva. Aveva una fidanzata raffinata, Ute, semplicemente stupenda, e amava guidare macchine da corsa. In più era sorretto da una forte educazione da parte della ricca famiglia romana, che gli aveva insegnato come comportarsi. Quindi, un uomo piacevole e un pilota molto, molto consistente. Se proprio devo trovargli un difetto – concludeva Warr -, a ben guardare è anche un suo pregio. Ossia non aveva fame. Gli mancava la rabbia atavica, cattiva, che ti permette di cercare e esprimere quel qualcosa in più che nascondi nell’anima». «Ma a me Elio – conclude Warr, dal quale Elio si sentì tradito in favore di Senna – piaceva infinitamente di più del nostro altro pilota Nigel Mansell, uno che non sapeva come comportarsi e che era convinto che il mondo intero ce l’avesse con lui.

L’arrivo di Senna e il comportamento totalizzante in pista e fuori del brasiliano ci consigliò poi di prendere dei secondi piloti più arrendevoli e Elio, che pure per noi aveva vinto un Gp a Imola nel 1985, poi se ne andò alla Brabham».

Stefan Johansson

Quel braccialetto simbolo del destino

Infine, una storia raccontata tempo fa da Stefan Johansson, proprio sull’annata segnata dal destino: il 1986 che vede Elio al volante della Brabham Bt55, l’innovativa e recalcitrante “sogliola” progettata da Gordon Murray. «Io e Elio non siamo stati mai compagni di squadra, ma ci siamo sempre frequentati molto – spiega Stefan -, avevamo affinità, ci volevamo bene. Per entrambi nel 1986 le cose non stavano andando come dovevano. La mia Ferrari non era vincente, quanto alla sua Brabham, per lui non era neppure facile neanche andare a punti, tanto la macchina era ancora da sviluppare. Ebbene, quando eravamo a Rio, per il Gp del Brasile, lui aveva acquistato un braccialetto portafortuna, dedicato a una divinità di Bahia.

Gli avevano spiegato che bastava esprimere un desiderio, mettersi il bracciale al polso e tutto sarebbe andato a posto. Un paio di mesi dopo, stavamo provando insieme al Ricard, io la Ferrari e lui la Brabham, e gli chiesi: “Ehi, Elio, allora funziona il braccialetto?”. E lui “Macché, niente!”, se lo tolse e lo buttò via. Quindi poco dopo uscì al volante della Bt55 ed ebbe l’incidente mortale».

L’Intervista Ritrovata

Elio e il suo grido di dolore onesto

Questa è l’intervista fondamentale per capire Elio De Angelis. Realizzata a inizio 1986, l’anno del passaggio alla Brabham e, purtroppo, dell’incidente fatale nei test del Ricard. In essa c’è tutto. Gli anni del periodo in Lotus, dal 1980 al 1985, che rappresentarono il compimento di un sogno e anche il naturale e meritato sviluppo della sua carriera. Con sublimazioni, crisi, problemi, vittorie, rinascite e la delusione finale che prelude al definitivo divorzio, avvenuto senza mezzi termini e con reciproche posizioni nette. Tra le righe Elio non nasconde l’amarezza per come è finita questa lunga avventura e dice pane al pane e vino al vino, perfino del suo rapporto con il tecnico Ducarouge, col compagno rivale Senna e con il team principal della Lotus di allora, Peter Warr, dal quale si sente tradito. Un grido di dolore onesto e sincero.

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© 2016 Autosprint • Di Mario Donnini • Published for entertainment and educational purposes, no copyright infringement is intended.

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