Trent’anni senza un amico

Il 15 maggio 1986 moriva, dopo un incidente in un test, un pilota italiano pieno di talento ed eleganza, anche lontano dalle piste. Qui vi Raccontiamo chi era, con il ricordo affettuoso di Nigel Mansell, suo compagno alla Lotus.

Sono già passati trent’anni. Il 15 maggio 1986 se ne andava Elio De Angelis, pilota romano di F.1, vittima di un incidente avvenuto il giorno prima durante un test sulla pista del Paul Ricard, in Francia. Aveva 28 anni, correva nei GP dal 1979 e aveva vinto due gare, entrambe al volante di una Lotus. Una morte assurda ed evitabile, se analizzata con i canoni di sicurezza attuali. La sua uscita di pista fu causata dal distacco dell’alettone posteriore sulla sua Brabham alla velocissima esse delle Verriere: la monoposto si ribaltò più volte e finì la sua corsa a testa in giù vicino al guardrail prendendo lentamente fuoco. Elio nel volo si era rotto solo una clavicola ma restò intrappolato nell’abitacolo per 10 lunghi minuti: non c’erano commissari a bordo pista e il primo che arrivò indossava una T-shirt e pantaloni corti. Subito si erano fermati altri piloti, Alan Jones e Alain Prost. Poi dai box arrivarono di corsa Nigel Mansell e Keke Rosberg. Ma senza estintori, per il calore enorme, non riuscirono a estrarre il pilota dalla vettura. Ci volle poi un’altra mezz’ora prima che atterrasse un elicottero in grado di portarlo in ospedale a Marsiglia. Ma la mancanza di ossigeno e i gas respirati in quei 10 minuti gli furono fatali. De Angelis è stato un grande pilota e un personaggio non comune:

Di buona famiglia, elegante, raffinato, si era guadagnato la F.1 grazie alla grinta e alla velocità mostrate nelle formule minori e non certo per i mezzi economici legati alle sue origini.

Dopo l’esordio con la Shadow era stato scelto dalla Lotus del genio Colin Chapman, con cui corse dal 1980 al 1985 conquistando il GP d’Austria nel 1982 e quello di San Marino nel 1985. L’anno seguente passò alla Brabham, con cui si chiuse tragicamente la sua carriera. Nigel Mansell, campione del mondo di F.1 nel 1992, suo amico e compagno di squadra per quattro stagioni in Lotus, ha scritto per noi in ricordo di Elio.

Gianluca Gasparini

Ho incontrato Elio per la prima volta – vera intendo – nel 1979, mentre stava affrontando un test al Paul Ricard in Francia che serviva ad assegnare un sedile sulla Lotus di Colin Chapman. Dico vera perché l’avevo già incrociato, ma senza parlargli, quando si era presentato a Donington l’anno prima per disputare una gara in F.2, nella quale avevo corso eccezionalmente anch’io. Invece in quella sessione di prove in Francia, era dicembre, abbiamo avuto più tempo: ero lì anch’io e lui si stava giocando, insieme ad altri cinque piloti, un posto nel team per diventare il compagno di Mario Andretti. Posto che ovviamente conquistò.

Il nostro rapporto personale è iniziato quando Colin Chapman e la Lotus – proprio in conseguenza di quel test – hanno ingaggiato anche me, prima come collaudatore e poi come titolare. Non ho trovato alcun problema nell’avere a che fare con Elio perché, quando poi l’ho affiancato in squadra nel Mondiale 1981, era abbastanza chiaro il fatto che lui in quel momento fosse il numero 1 e io il numero 2 all’interno del team. Ma non era solo quello: in quegli anni è stato sempre diretto e sincero con me e soprattutto lo trovavo un personaggio simpatico e affascinante, cosa che in quell’epoca non era certo la norma per un pilota di F.1. Col tempo poi ci siamo avvicinati sempre di più e negli ultimi mesi ci capivamo benissimo e in modo davvero profondo.

Elio era un ottimo pilota. Aveva uno stile di guida molto preciso ed elegante, cui aggiungeva la grande passione che gli derivava dall’essere italiano. Io, se devo proprio confrontare le nostre caratteristiche, guidavo in modo un po’ più aggressivo.

I ricordi più belli che ho di noi due sono legati al divertimento e alle battute conseguenza di ciò che combinavamo in quegli anni, avventure di cui qui non posso scrivere… Però è stato un periodo davvero bello e intenso. Elio mi piaceva molto come persona già quando eravamo compagni di squadra mai siamo avvicinati ulteriormente nel momento in cui io ho lasciato la Lotus e lui ha iniziato a soffrire per colpa di Peter Warr (diventato responsabile del team dopo la morte di Chapman a fine ’82; ndr): la scuderia ingaggiò Ayrton Senna e di colpo capì che tipo di situazione avevo dovuto affrontare prima di lui, con lo stesso Warr. Così mi chiese aiuto e qualche consiglio in un momento per lui difficile.

Ma non c’era solo il lavoro: era un uomo pieno di fascino, carismatico, suonava benissimo il pianoforte. Per questo l’Elio pilota mi piaceva ma l’Elio uomo era ancora meglio. Il giorno incredibile, e lo dico dal più orribile dei punti di vista, in cui ha avuto l’incidente che gli è costato la vita al Paul Ricard è impresso nel mio cervello in modo molto chiaro ancora oggi.

E probabilmente la stessa cosa vale per Keke (Rosberg, iridato F.1 nel 1982 e padre di Nico, che corse con Nigel a soccorrere inutilmente de Angelis; ndr). È stato un momento che ha cambiato la mia vita per sempre. Una terribile perdita per l’automobilismo ma anche per l’umanità, se vogliamo.

Era un tipo pieno di fascino e carisma: l’Elio pilota mi piaceva molto ma l’Elio uomo era ancora meglio

A distanza di trent’anni mi manca ancora ma una specie di sistema salvavita mi fa pensare a lui ancora qui con noi. Per quanto fosse un’epoca non semplice per correre, si trattava comunque di gare per uomini veri: ogni volta che entravi in pista non solo dovevi lottare contro le difficoltà della guida ma anche con la reale possibilità che se qualcosa fosse andato storto tu potessi morire.

Elio e io abbiamo condiviso un sacco di momenti insieme, compresa l’incredibile esperienza nell’oceano a Rio, in Brasile, quando abbiamo salvato Peter Collins, il nostro team manager alla Lotus, dall’annegamento.

Devo dire che quando abbiamo corso in F.1 sia lui sia io – dalla parte conclusiva degli Anni 70, durante il decennio seguente e fino all’inizio degli Anni 90 – l’automobilismo era particolarmente pericoloso. E sono molto contento e sollevato per i piloti di oggi: attraverso il sacrificio personale di molte persone, la tecnologia e la sicurezza delle monoposto che sono cresciute e la revisione e l’ammodernamento dei circuiti da parte della F.1 e della Federazione Internazionale Auto ora, al confronto, correre è molto più sicuro, anche se non dobbiamo mai dimenticare che resta sempre potenzialmente letale.

© 2016 Sport Week • Di Gianluca Gasparini e Nigel Mansell • Published here for entertainment and educational purposes, no copyright infringement is intended.

See also:

prev
next
Search