In queste pagine scoprirete un De Angelis diverso: anche nel suo amore per il Prossimo
Con commozione e dolore Elio De Angelis è stato ricordato in pubblico e in privato. A cercare di tracciarne la figura di uomo, prima che di pilota, sono stati in parecchi. Anche perché, nel «Circus», Elio era un personaggio anomalo. Nel senso che a tutti – addetti ai lavori e no – il romano imponeva la sua presenza e la sua personalità prima ancora che per un riferimento alle sue indubbie qualità professionali, per lo stile e la classe del suo comportamento. Sintesi ritrovabile in un giudizio semplice ma nondimeno unanime: «Un vero signore».
Signore, sia chiaro, non di censo e di sostanze, (sulla ricchezza alle spalle di Elio c’erano state agli inizi anche troppe battute e spesso non di ottimo gusto) ma «signore» di animo. Certo a qualcuno suonava strano che un ragazzo baciato dalla fortuna in tutti i sensi, perché ricco, bello, intelligente, celebre, potesse rinchiudersi in un mondo privato venato di malinconia alleviata forse solo dalla tastiera di un pianoforte, anziché esplodere in esibizionismi da «jet-set». Ma bastava conoscere Elio solo un pochino per sapere che questi privilegi che la vita aveva voluto riservargli, anziché offrirgli orgoglio, erano in un certo senso il suo complesso.
Forse proprio per questo cercava rabbiosamente, senza un attimo di tregua, quella rivincita vera che solo l’agonismo poteva offrirgli.
Fra i tanti ricordi personali, una cena a Faenza quando era ancora in F2 con Minardi, un compleanno festeggiato assieme a Long Beach, la festa del «Playboy Club» a Francoforte in cui incontrò Ute, una lista di attesa notturna condivisa all’aeroporto di Rio di Janeiro, una cena di Ferragosto al Fossati di Canonica al Lambro. Nel momento dell’estremo addio mi sembra perciò doveroso rivelare un aspetto della personalità di Elio che probabilmente in pochi conoscevano e che meglio di ogni altro, secondo me, inquadra quella umanità (ancora prima di quella signorilità) che, come dicevo sopra, era la qualità migliore dell’uomo. Era lo scorso febbraio a Rio, durante le ultime prove libere di gomme. A cena Elio, il suo inseparabile amico Louis Ruzzi, Patrese, Umberto Grano ed io, al ristorante «Le streghe» uno dei migliori della capitale carioca. Parlando del più e del meno mi venne fatto di dire: «In fondo dobbiamo dire grazie, anche se non sappiamo magari precisamente a chi, di fare parte di quella ristretta schiera di privilegiati che può permettersi di passare una serata a cena in questo locale dove, in proporzione alla realtà economica brasiliana si spende in una sera quello che uno qualsiasi dei camerieri guadagna in un mese di lavoro…». Una frase qualunque e – perché no? – anche qualunquista, che non sembrò tale però solo ad Elio. Anziché lasciarla cadere nel vuoto come forse, vista l’atmosfera della serata, sarebbe stato logico fare, volle approfondirla. Nel successivo scambio di battute che, oltrepassando la allucinante realtà dei milioni di brasiliani ridotti economicamente allo stato di pura sopravvivenza, induceva singole e purtroppe amare considerazioni, mi venne fatto di dire: «Ma vi rendete conto, ragazzi, che noi privilegiati lo siamo anche troppo? Perché facciamo parte di un mondo che è già l’elite di una società come quella industriale che nel complesso rappresenta con i suoi sette-ottocento milioni di persone solo la punta di un iceberg sotto alla quale purtroppo ci sono gli altri quattro o cinque miliardi persone che affollano la terra e che hanno ancora come puro e semplice obiettivo la sopravvivenza».
In considerazione della serata e dell’ambiente ero probabilmente, come si dice, una riga sopra la pagina. E forse me ne sarei accorto subito se proprio Elio non mi avesse interrotto per dire, magari in una riflessione dedicata più a sé stesso che all’auditorio:
«Cose del genere mi fanno sentire male. Io avverto profondamente l’esigenza di dedicarmi agli altri, specie alla gente che soffre. In fondo sono e mi sento profondamente cristiano. Certo non sono un praticante ma so che la mia posizione nella società è tale da farmi ringraziare ogni sera il Padreterno. La mia coscienza mi suggerisce sempre che non si può vivere senza guardarsi attorno. Proprio per questo sarei contento di poter dare, alla pubblicità che la posizione di pilota di F1 comporta, un contesto tale da poter un domani andare a testa alta nei confronti di chiunque. Vale a dire creare le premesse per poter aiutare il mio prossimo e nel senso vero della parola. Lontano cioè da tutte le strumentalizzazioni a cui spesso, approfittando della nostra posizione di uomini pubblici, ci vogliono costringere. Purtroppo, viviamo in un ambiente in cui l’esibizionismo e, ancor peggio, l’egoismo sono i valori più premianti ed è proprio per questo che a volte faccio fatica a sentirmi protagonista».
«Non ci fossero quei momenti in cui, seduto al volante della mia macchina, sono solo contro me stesso ancora prima che contro gli avversari, dalla F1 sarei fuggito da tempo. Comunque, visto che volente o nolente ci sono dentro fino al collo, ecco, mi piacerebbe proprio utilizzarla anche per sentirmi un uomo del mio tempo nel senso migliore del termine.
Voglio dire che piuttosto che limitarmi a firmare autografi nella hall di qualche albergo in giro per il mondo mi piacerebbe essere davvero utile per qualcuno».
Oggi, a distanza di pochi mesi, estrarre dall’archivio della memoria queste parole mi costa doppia fatica. Perché oltre al dolore di rimetterle in bocca ad un ragazzo che forse non era proprio un mio amico nel senso stretto della parola, ma verso il quale provavo profonda stima (e, posso giurarlo, era uno dei pochi nel giro della F1), vi scorgo al di là del valore della testimonianza e della confessione anche il testamento morale e cristiano di un uomo vero e sincero.
Eugenio Zigliotto
Dedicato a chi non l’amava
Ricordo la prima vittoria di Elio De Angelis a Zeltweg, nell’ 82: un trionfo agli ultimi metri che aveva fatto fremere i tanti italiani presenti sul circuito austriaco a sognare. Sognare che presto un italiano avrebbe trionfato nel Campionato mondiale, sognare e dimenticare per un attimo la scomparsa ancora fresca, nel cuore degli appassionati, di Gil.
Ero curiosa di conoscere questo ragazzo romano di buona famiglia che aveva portato una ventata di stile nella chiassosa e colorata Formula 1 L’occasione mi venne data dal pilota del suo jet che si offrì, forse nella grande euforia di quel momento, di darmi un passaggio a Roma, dopo aver lasciato Elio ad Olbia.
Bene – ricordo di aver pensato – ne approfitto per fare un’intervista a De Angelis «quasi privato» e riesco anche a tornare presto a Napoli. Lui, però, ripartiva subito, ed io avevo da seguire la gara di Formula Ford che si disputava dopo il GP e che fu vinta proprio da Senna. Ho incontrato De Angelis qualche altra volta, riportando una strana impressione: non mi riusciva simpatico. Glielo dissi con l’abituale franchezza. Mi sembrava forse un po’ snob, quasi «staccato» dal Circo. Ma ad Imola dopo una chiacchierata e, soprattutto, al S. Paolo con Maradona, mi sono dovuta ricredere. O non avevo capito niente, o Elio era cambiato.
Gentile, disponibile, sereno. Anche quando la macchina non voleva saperne di andare, proprio come ad Imola. Mi spiegava: «Il fatto è che non sappiamo qual è l’origine dei problemi della vettura, non sappiamo da dove cominciare». Ma sempre con serenità. Come nel dopocorsa, quando si era seduto nei box davanti al televisore per vedere la corsa del suo amico Riccardo, mentre lui era stato costretto ad un ennesimo ritiro. Sempre senza recriminare. Soffrendo certamente, ma in silenzio. Un solo momento di amarezza, riferito proprio all’ex compagno di scuderia, Senna: «Che possiamo fare? Siamo a 3 secondi dal primo della classe…». Ma con garbo e signorilità.
E a Napoli, tra gli azzurri con la maglia dell’Unicef, per ridare un sorriso a tanti bambini. Qualcuno disse in quell’occasione, non senza un pizzico di ironia misto ad invidia: «è venuto con l’aereo privato». «Sì, ma è venuto» gli rispose un ragazzino che lo aveva riconosciuto. «Sono felice di aver giocato per questi bimbi – mi disse negli spogliatoi – iniziative così dovrebbero essercene di più». Poco prima, sul campo, aveva lanciato a Diego Maradona un’idea: «perché non facciamo qualcosa del genere con le F1?». Segnò. Un gol.
Lo ricordi, per favore Direttore, agli amici e ai colleghi che come me non amavano Elio.
Anna Maria Chiariello
Una famiglia con le farfalle
Caro direttore,
Sabato ho assistito (purtroppo) al terzo funerale di un pilota romano. Prima Ludovico Scarfiotti, poi Ignazio Giunti, e adesso Elio De Angelis. Anche se ho visto tanti giovani amici morire, piloti di aerei da caccia e piloti di macchine, sono cose a cui non ti abitui mai.
Entrando in chiesa, la prima cosa che ho sentito è stata quella bellissima canzone senza parole di Elton John che si chiama «Song for Guy» dedicato ad un suo giovane amico morto – se mi ricordo bene – in un incidente di moto.
Cercando di andare avanti ho trovato un muro umano, e finalmente ho trovato uno spazio accanto a Francesco Santovetti che era stazionato lì su richiesta della famiglia per fare da «filtro». Seguivano le note dell’adagio per archi ed organo in sol minore di Tommaso Albinoni, altra musica che amo tanto, che ho sentito per la prima volta in Italia tanti anni fa (e allora subito comprai la cassetta a Modena). È una musica che mi fa sempre commuovere.
Amo moltissimo la musica, e quindi ho notato altri brani, dall’Ave Maria di Bach Gounod al Liebestraum di Franz Liszt che impari a suonare a lezioni di pianoforte, e che sicuramente suonava anche Elio, alla musica finale, il Bolero di Ravel, che ha accompagnato insieme con tanti applausi il feretro all’uscita della chiesa.
Se l’arredamento della casa è una chiave per capire la personalità di una persona, lo è sicuramente anche il gusto nella musica. Mi hanno detto che gli amici si sono occupati dei dettagli del funerale per la famiglia straziata, e che un amico aveva scelto i brani preferiti di Elio. I quali indicano un uomo sensibile, romantico, e anche malinconico, non certo le qualità che uno si aspetta da un pilota di F1 dove per vincere ci vuole un’anima spietata ed aggressiva, almeno in parte.
Intorno a me ho visto tante facce straziate dal dolore e ho pensato: quanti amici hanno loro, Elio e la sua famiglia, quante persone, quanti fiori, quante corone! C’erano mille, forse millecinquecento persone dentro la chiesa, e chiaramente fra loro c’erano non solo amici e parenti ma anche curiosi e tifosj, ma l’emozione era molto forte e lo si è sentito poco dopo l’inizio della messa, quando c’è stata un’esplosione di applausi dopo le parole di padre Michele Buro che l’aveva battezzato: «Chiediamo tutti ad Elio la forza di continuare a correre la nostra vita fino all’ultimo traguardo».
Sono rimasta scioccata perché non avevo mai sentito un applauso dentro una chiesa durante un funerale. In tutto ho contato sei applausi e un «Elio sei vivo» gridato da qualcuno vicino all’altare. Mi dicono che questo costume è cominciato durante gli «anni di piombo». Sarà. Forse non è appropriato l’applauso in chiesa, forse dovrebbe esserci solo all’uscita del feretro dalla chiesa come hanno fatto per Anna Magnani, ma credo che a Elio sia piaciuto così, che ha preferito gli applausi dei tifosi, degli amici, dei parenti, della fidanzata, alle tante lacrime versate per lui.
Eh, già, la famiglia. Quando sono tornata nell’ambiente della F1 nel 1981 dopo qualche anno d ‘assenza, il mio primo contatto è stato con lui, con Elio, tramite una cara amica, Maria Teresa Fendi Venturini, che all’epoca era fidanzata con Roberto, un fratello di Elio. Mi hanno invitata a cena in un ristorante molto «in» nel centro storico di Roma, è stata una serata molto piacevole, ma abbiamo parlato di tutto meno che delle corse.
A Montecarlo li ho rivisti, i fratelli De Angelis; la famiglia aveva affittato una barca vicino ai «garages» della F1 e Maria Teresa mi ha invitata a fare colazione con loro. Così ho conosciuto anche Giulio, il papà, Pina, la mamma, e Fabiana, la sorella (non credo che ci fosse Andrea, il fratello più piccolo). Vedo nella mia mente come in un film la scena: tutti a ridere e scherzare seduti sotto la tenda sulla poppa della barca, prendendo frutta da un enorme cesto sulla tavola, altri piloti che venivano a fare un saluto, tutti felici, orgogliosi, il senso di una famiglia molto unita.
Ho parlato un attimo con Elio con il mio registratore in mano, ma solo un attimo, per non essere invadente. In questi giorni ho risentito il nastro. Gli avevo chiesto: «Cosa hai fatto ieri durante la giornata?» Elio aveva risposto: «Venivo spesso a fare la doccia, questa è la comodità di avere la barca, si può fare la doccia tra una prova e l’altra. Questo è un Gran Premio sempre molto difficile perché c’è tanta di quella gente in torno! E senti la pressione di tutto questo ambiente, ed è molto difficile stare da soli e concentrarsi bene senza però essere scortesi con la gente».
Sono riuscita a parlare con Fabiana, la sorella di Elio, a Madrid, nell’area della Lotus dove avevano offerto una colazione all’aria aperta, con tanti tavolini sotto le tende. Allora aveva 15 anni, una ragazza bionda, simpatica e carina, completamente a suo agio in questo mondo. «Seguo Elio da sempre, – mi ha detto, – da quando correva da piccolo. Siamo una famiglia di meccanici e tifosi, mio padre, mio nonno. Mi piace seguire mio fratello, ma tra poco ricomincia la scuola. Io spingo, sono come un meccanico. Non ho paura. Voglio solo fare andare forte Elio. Non mi viene di pensare al pericolo, l’importante è che vada. Penso che per lui tutta la famiglia sia un aiuto morale. L’unica cosa che disturba è che tutti vogliono dargli consigli. La cosa che non sopporta è se gli altri gli danno torto, allora si innervosisce e non è più lucido. A me piacerebbe correre, ma penso che papà non sopporterebbe due emozioni».
Ed ecco, sul nastro, la conversazione che avevo avuto con papà De Angelis. Avevo intenzione di intervistare poi Roberto e anche la madre, per fare una specie di quadro completo di questa famiglia così unita nella passione per i motori, ma poi ho dovuto fare altre cose e le interviste sono rimaste nella cassetta. Anche se sono di cinque anni fa, penso che vale la pena di raccontarti quello che mi aveva detto Giulio De Angelis, campione di motonautica: «Non mi rendevo conto quando correvo che un familiare che assiste alle corse potesse provare certe emozioni. Mentre correvo pensavo che avrei accettato senza problemi il fatto che mio figlio corresse; invece, quando si è presentata l’occasione la prova dei fatti mi ha smentito in pieno».
«È da anni che Elio corre, ma finché si trattava dei kart, anche se con tanta paura, e poi della F.3, pensavo: “le macchine non vanno molto veloci e sono abbastanza sicure”. La F 1 è emotivamente stressante perché si unisce all’emozione del pericolo anche l’agonismo, perché uno vorrebbe vederlo sempre vincere o lottare per le prime posizioni. Quindi è un impegno non indifferente per un padre».
«Noi abbiamo delle discussioni, cerco di fargli capire cose che si capiscono solo con tanta esperienza di gare. A lui mancano queste notizie, quest’esperienza. Però non mi ascolta perché l’esperienza degli altri non vale. Vedo dei giovani, che conosco personalmente, che hanno cominciato con il kart in maniera professionistica già da ragazzi. Noto che i giovani di oggi sono molto modesti e che non hanno lo stimolo dell’esibizionismo come ai miei tempi, vent’anni fa. Si concentrano sui problemi tecnici che capiscono molto bene. Ci sono sette-otto piloti italiani nella F1, quindi la scuola italiana è valida».
A quel punto avevo fatto una domanda un po’ cattiva, ma De Angelis non si scompose. Chiesi se la presenza di tanti piloti italiani in F 1 è perché la scuola italiana è buona o perché i piloti italiani sono più ricchi. Giulio rispose: «Nessuno spende in proprio in Italia, è che ci sono più ditte disposte a sponsorizzare. Ci sono molti appassionati tra gli industriali che vanno a vedere le gare minori, così seguono un pilota, prima con pochi milioni, vengono poi i risultati, e quindi nasce questo discorso pubblicitario. Poi F2 e F1. Qui è il banco di prova: dopo sette/otto gare un pilota o resta per sempre o non ritorna più». E allora, ho chiesto, che emozione si sente a vedere il figlio correre in F 1?
«Sento molta più emozione di quando correvo io».
Ma, ho chiesto, sente proprio le farfalle nello stomaco, come diciamo noi americani? «Lo sento fisicamente, moralmente. Durante le corse cerco di seguire la macchina in ogni punto e vedere se ha problemi. Certe volte sono ai box, altre volte in tribuna, dipende dove posso vedere meglio».
Alla mia domanda se aveva mai pianto dall’emozione, De Angelis ha esitato, c’è stato un piccolo consulto con la figlia, tipo «si può dire, non si può dire?», e alla fine ha risposto: «Ogni tanto qualche lacrimuccia ci scappa. Per esempio, in Brasile quando Elio è arrivato secondo, e perché era chiamato dalla Lotus, una cosa così importante per un giovane di vent’anni».
Direttore, devo dirti una cosa. Il giorno dopo i funerali, domenica, 18 maggio, sono diventata madre di una maggiorenne, perché mia figlia Barbara ha compiuto 18 anni. Come sai, siamo una famiglia letteralmente nata nell’automobilismo, ho conosciuto suo papà alla Targa Florio, lei ha annunciato il suo imminente arrivo alle prove del Gran Premio di Monza (sono svenuta ai box), mio papà è stato un grande pilota di aerei da caccia ed ha anche corso con le moto, e quindi non c’è una persona in questo mondo che capisca la passione per i motori come la capisco io. Però, devo essere molto sincera. Se Barbara avesse molta passione e molto talento, se volesse correre, se mi chiedesse aiuto per correre, i miei conoscenti, i soldi, non saprei come rispondere. Non sono sicura che direi di sì, che farei tutto per aiutarla.
Ieri, quando ho riascoltato la mia intervista con Giulio De Angelis, mi è venuta la pelle d’oca. Perché, alla fine dell’intervista, quando lui mi raccontava delle sue lacrime (di gioia) per i successi del figlio, sentivo la mia voce che diceva: «Allora, ti auguro tante altre lacrime».
Ma non di questo tipo, caro De Angelis, non di questo tipo. Con tanti cari saluti,
Logan Bentley Lessona
Caro Rombo, Per un Memorial De Angelis
Ho avuto modo di conoscere personalmente Elio De Angelis ed apprezzarne le qualità morali oltre che di pilota. Adesso ho un gran senso di vuoto dentro, soprattutto al pensiero che non tutti l’hanno potuto conoscere bene perché, al contrario di Gil, Elio ero un piloto riflessivo, non irruento e spaccatutto, e non ho mai suscitato l’entusiasmo popolare; quindi, sarò presto messo nel dimenticatoio da molto gente. È un vero peccato perché un uomo della sua sensibilità e generosità sarà difficile trovarlo. Per ricordarlo e onorare degnamente la sua memoria ho promosso tra i colleghi (lavoro presso la Guida Monaci che Elio frequentava essendo stato sponsorizzato da questa azienda) uno raccolto di fondi da inviare all’UNICEF in suo nome. A ROMBO chiedo di lanciare dalle sue colonne l’ideo della manifestazione ad Imola che lui avrebbe voluto fare, come riportato nell’articolo di Anna Maria Chiariello sulla partita di Napoli con Maradona. Sarà molto bello poter fare qualcosa a Roma (politicanti permettendo) con la partecipazione dei piloti di F1 ed eventualmente di altri campioni di tutte le discipline sportive (magari con i karts come a Serata d’Onore) e devolvere all’UNICEF il ricavato: Elio da lassù ne sarebbe felice! A proposito c’è uno stella libera vicina a quella di Gil?
Giancarlo Raspa – Roma
Una nuova pagina nera per lo sport dell’auto. Sono affronto e sconfitto, più che dall’evento, imponderabile, della morte fisica, dalla morte della ragionevolezza e dello spirito dirigenziale sportivo internazionale. Elio De Angelis era un giovane onesto, generoso. leale, uno sportivo di «altri tempi» un vero gentleman. Mai una parola di troppo, mai un commento meno che cortese. E poi, che piede! Ma cosa conta ora questo? Ora conta soltanto operare ad ogni livello praticabile, piloti, organizzatori ed appassionati sinceri, per cambiare questo vergognoso stato di abbandono legislativo. PS. Perché non istituire un premio «Gentleman Driver» dedicato a Elio?
Vincenzo Estatico – Genova
È davvero triste che per essere conosciuti e apprezzati, certi aspetti umani debbano venir fuori in circostanze tragiche. Elio De Angelis era uno di quei personaggi a cui probabilmente l’immagine pubblica non rendeva merito. Alla sua ricchezza d ‘animo – di cui fa fede il testamento morale, di cui parla Eugenio Zigliotto nel «mixer» – vogliamo ispirarci per ricordarlo. E al centro delle nostre iniziative ci sono proprio quelle caratteristiche di Elio che avete conosciuto e descritto efficacemente. A proposito delle iniziative in sua memoria, non vogliamo disperdere in mille rivoli quello che vogliamo fare per Elio e in nome di Elio. ROMBO ci sta lavorando proprio avendo presente la grande umanità del pilota scomparso. Per lui, uomo di sport e di sponsor l’UNICEF si può dire che sia stata una sua sponsorizzata e sarà bello sostenere questa sponsorizzazione. D’accordo con la famiglia daremo vita ad una manifestazione a cui contiamo di far partecipare anche Maradona. Occorrerà perciò aspettare il ritorno in Italia del campione argentino, amico di De Angelis e sensibile anche lui ai problemi dell’infanzia povera. E poi il ricordo è più giusto farlo vivere lontano nel tempo piuttosto che nei giorni della tragedia. Di che cosa si tratterà? Di una iniziativa simile a quella organizzata l’estate scorsa a Misano con la partecipazione di Niki Lauda, naturalmente a fini benefici.
Anche i necessari accordi con la Fiat sono a buon punto. Intanto ROMBO collaborerà per le iniziative della Federazione kartistica il cui presidente Pirro ha voluto subito ricordare Elio, che cominciò l’attività agonistica in kart, con una stele ed un trofeo annuale.
In ricordo di Elio De Angelis sono state tantissime le lettere che hanno voluto semplicemente ricordarlo, con tantissimo affetto. Ne abbiamo scelto qualcuna che ci è sembrata rappresenti i sentimenti di quanti hanno scritto rimandando al prossimo numero per la pubblicazione delle altre lettere.
Ma servono i colpi di scena
Ma perché si deve giungere sempre ad una tragedia per vedere rinnovare i regolamenti? Perché per vedere migliorare un po’ le pericolosissime condizioni in cui vive quella preziosa carne da macello che risponde al nome di pilota, ci vogliono tanti sacrifici umani? I vari Ecclestone e Balestre giocano sul fotto che i centauri non possono vivere senza correre, e grazie a questo li piegano ai loro più biechi interessi commerciali per poi farli morire tra il cemento, per condannarli fatalmente a morte al loro minimo errore di guida od al minimo cedimento meccanico del mezzo. Ma il mio appello è ora rivolto verso i piloti: vi prego, fate qualcosa per fermare questa assurda carneficina. Attuate un vero e proprio sciopero selvaggio, accordatevi in gran segreto ed al verde del semaforo, invece di partire, zittite tutti i motori scendete dalle macchine in segno di protesto. Solo così il mondo vi ascolterò. Fatelo per Elio e per tutti coloro che hanno pagato o duro prezzo il loro amore per le competizioni, fatelo perché non si debba più assistere a modifiche dei regolamenti solo dopo l’amaro sacrificio di uno di voi, gli unici veri Grandi del mondo delle corse.
Enzo Carlucci – Varese
Ma perché deve esserci bisogno del grande colpo di scena? I problemi si affrontano apertamente e chiaramente, senza iniziative che cercano il clamore per dar forza alle proprie opinioni. La realtà dell’organizzazione del mondo della F1 induce a pensare piuttosto che il momento in cui i piloti debbono far sentire con forza la loro opinione è molto prima dello start. Ed è per questo che è molto difficile che si mettano tutti d’accordo.
L'unica, importante «consolazione»
Caro Elio, ormai avrai iniziato la tua eterna corsa negli spazi siderali insieme a Gilles, Ronnie, Jim, Jochen, Lorenzo e tanti altri paladini che hanno dato la vita per questo magnifico sport in cui credevano. A noi comuni mortali rimane la «consolazione» di sapere anche che sei stato strappato troppo precocemente e crudelmente a questa vita terrestre, correndo a 300 all’ora, col vento in faccia e quel che più conta facendo quello che ti piacevo di più. Non è poco. Riposa in pace, noi non ti dimenticheremo.
Anna Merini – Milano
È vero. Fare ciò che piace non è poco. Bisogna però che sulle macchine da corsa come altrove ciò non significhi tollerare situazioni dove la pericolosità vada al di là del rischio che pur fa parte di questo sport e in genere, di ogni attività umana.
Il suo fascino nella sua storia
Caro Elio, rappresentavi tutto quello che un giovane può desiderare: la nascita in una bellissima città, la ricchezza di una buona famiglia, la gentilezza e la misura di un’educazione superiore, la bellezza e l’intelligenza non ostentata. Avevi tutto, avresti potuto far niente. Hai preferito scegliere la bellezza del rischio, cercare il sempre nuovo limite delle capacità del pilota e della macchina, sapendo il rischio che correvi una vita intensa per uno sport meraviglioso. Spero che per i tuoi cari resti più a lungo il tuo meraviglioso ricordo piuttosto che l’immenso dolore. A volte mi viene in mente il detto di un antichissimo poeta greco: «muore giovane colui che al cielo è caro…» E mi pare sempre più vero. Ciao, Elio.
Ugo Bernes – San Daniele del Friuli
Effettivamente la scomparsa di Elio ha colpito molto anche per il personaggio che era il pilota romano, che lei ha fotografato bene. E probabilmente De Angelis sarà ricordato soprattutto per la sua vicenda umana più che sportiva, anche se – paradossalmente – questo era una sorta di suo cruccio che si portava dietro.
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