Il de Angelis più vero, più sincero, parla della «sua» Formula 1 e si candida al successo nel mondiale ‘84
Nelle tasche cinque anni di Formula Uno. Nel piede e nella testa una gran bella testa, grinta, ambizione, intelligenza, dote, quest’ultima, che tanto nel pilota da F1 da trecento all’ora quanto nell’uomo della strada, ancora affascina. Le cronache sportive si occupano di lui dal 1977, ma poche persone, forse soltanto quelle che appartengono al suo piccolo mondo privato sanno qualcosa di Elio de Angelis. Una domanda viene spontanea: fanno bene Luis, l’argentino che gli vive incollato ai box dei gran premi (“il suo ricondurre ad un aspetto meno drammatico ogni situazione mi aiuta a superare mille difficoltà, mi calma” – dice dell’amico il pilota romano).
Andrea Gallignani, il ventiseienne industriale bolognese che da quando lo ha sponsorizzato in F3 non lo ha più abbandonato, Roberto ed Andrea, i fratelli “da corsa” di Elio (in passato si distinsero come eccellenti kartisti) e Ute, la graziosissima Ute, ad adorarlo?
O ha ragione chi, con giudizi pieni di conveniente superficialità, lo etichetta come sbruffone doc, dalle qualità umane e professionali limitate? Per farla breve: il vero de Angelis è quello amato dalla gente che lo conosce bene, o quello odiato – ma forse è meglio dire invidiato – da chi sa soltanto come è fatto, fuori?
La risposta, la più logica, la diede indirettamente Colin Chapman quando nel 1979 lo volle con sé alla Lotus: Chapman non si accontentava di lavorare con un professionista molto dotato, voleva anche l’uomo che vale. Ed Elio valeva ieri come oggi. “Ricordo che rilasciò una bella intervista ad un giornale inglese, quando la stampa inglese era ancora tutta dalla mia parte” – attacca de Angelis – “nella quale diceva di aver trovato in me una volontà incredibile ed un coraggio di una pantera”. E aggiunge – “La prima volta che lo incontrai fu proprio nel 1979 quando realizzai un buon tempo classificandomi fra le Ferrari di Villeneuve e Scheckter, a Silverstone, con una Shadow che, stranamente, andò bene. Ricordo che in quella occasione Chapman venne da me, guardò la macchina che proprio non lo colpì per niente, quindi si interessò a me. In seguito ci fu la corsa di Watkins Glen ed, infine, i suoi collaboratori mi proposero il test con la Lotus al Paul Ricard, al quale parteciparono altri quattro piloti. È lì che io fui scelto”.
Dopo quattro anni, cinque con quello che è appena iniziato, la Lotus per te è una fede, oppure rappresenta l’unica opportunità per correre con una monoposto competitiva in Formula Uno?
No, non è l’unica possibilità per restare in F1 con una squadra prestigiosa. Di offerte ne ho avute tantissime e prima Chapman poi i suoi sostituti hanno fatto parecchio per tenermi. In fondo, per me, la Lotus è una fede, è il grande affetto che mi lega ai miei meccanici, al progettista: loro meritano ancora mille soddisfazioni e anch’io le merito. Debbo quest’anno alla Lotus.
Che cosa ha Ducarouge che Chapman non aveva e viceversa?
È un paragone molto difficile, poichè Chapman per tanti anni è stato una bandiera, un punto di riferimento per tutti i costruttori. Dal punto di vista tecnico, non ci sono dubbi, era un genio. Chiaramente ha anche avuto dei collaboratori eccezionali: ma è stato lui a sceglierli. È stato molto abile anche sotto questo profilo: Tony Rudd lavorava alla BRM quando la BRM vinceva. Poi è venuto alla Lotus, ecco un esempio. Ducarouge è stato preso con la stessa filosofia: assicurarsi i tecnici migliori e metterli attorno ad un tavolo. Non è un po’ quello che fa Ferrari, anche se su altri livelli? Ferrari è un grossissimo organizzatori di uomini. Ducarouge non posso ancora metterlo sullo stesso piano di Chapman, anche se Gèrard è un uomo di grandissimo ingegno, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita alle corse: ha la velocità nel sangue, vorrebbe portare le monoposto che progetta, mentre tutti gli altri ingegneri non se lo sognano nemmeno. Inoltre, sul piano umano è eccezionale ed il suo arrivo mi ha riempito di gioia perché in lui ho ritrovato un punto d’appoggio dopo la scomparsa di Chapman. Gèrard riesce a mettere in pratica le sue idee ed a prendere il meglio di ciò che vede in giro.
Con questo non voglio dire che sia un copiatore, perchè è una definizione troppo restrittiva. Lui e solo lui è in grado di scoprire quello che va in quella sospensione o in quell’alettone. Prima di creare delle mode, riesce a migliorare quelle esistenti. Mi ricordo, ad esempio, la moda delle minigonne: la prima vettura ad effetto suolo fu la Lotus. Poi vennero le altre. In Argentina Ducarouge si presentò con la Ligier con le pinne alte e noi pensammo: chissà come andrà forte. In realtà, non avevano alcun compito in particolare, tuttavia nel successivo gran premio tutti le avevano adottate senza nemmeno averle provate nella galleria del vento. Voglio perciò dire che Ducarouge è geniale nelle sue realizzazioni, però al contrario di Chapman, non tralascia di interessarsi al lavoro degli altri.
Quanto cambia tatticamente e tecnicamente la Formula Uno ora che il rifornimento rapido è stato abolito?
Ritorniamo alle corse di sempre. Verrà premiata maggiormente l’esperienza dei piloti, perché alla fine saranno avvantaggiati coloro che porteranno al traguardo la minore quantità di “pezzi” rotti o deteriorati. Nel senso che vincerà chi sarà in grado di contenere l’usura dei freni, dei pneumatici, del cambio. Comunque credo che ci si fermerà per sostituire le gomme almeno per valutare se conviene o meno effettuare l’operazione. Sarà favorito chi guida con accortezza e, come dice giustamente Nelson, le macchine saranno più pericolose perché partiranno con 220 litri di carburante, anzichè con 60. Forse verranno ridotte le potenze: ma queste sono solo congetture che chiuque potrà smentire, visto che non sono un tecnico.
Tu eri contrario all’abolizione delle minigonne, lo scorso anno. Dopo una stagione senza l’effetto suolo, sei ancora di quell’avviso?
Mi ero dichiarato contrario, perché la decisione presa dalla FISA e la proposta di noi piloti erano strutturalmente differenti. Però, a distanza di un anno, mi debbo ricredere. In fondo, oggi, queste macchine sono leggermente meno pericolose. Dico leggermente perchè nel 1984 saranno sicure quanto quelle del 1982 con le minigonne: se i tempi sul giro sono gli stessi e la velocità di percorrenza delle curve, inferiore, significa che in rettilineo si toccano punte elevatissime. Qualcuno della FISA mi ha chiesto se freniamo molto prima: noi freniamo sempre nello stesso punto, perchè le gomme sono migliorate, le sospensioni sono migliorate ed è ridicolo che si continui ad aumentare la potenza dei motori. Ero contrario all’abolizione delle minigonne e sono contrario a questa Formula Uno così strana.
Ma questa Formula Uno premia ancora le qualità del pilota o, come sostengono molti fra i diretti interessati, contano soprattutto i dollari?
Il ‘brocco’ non ha scampo ed i piloti in gamba emergono. Oggi come oggi i ‘buoni’ sono almeno una decina. Le occasioni non mancano, tant’è vero che proprio l’altro giorno leggevo su Autosprint che Ballabio verrà in F1: e quindi vedremo cosa saprà fare.
Giacomelli, Fabi, Jarier, Watson, Boutsen, Sullivan, i più noti fra gli “esclusi” del 1984 sono “brocchi”?
Sono ottimi piloti. Purtroppo in F1 succede anche questo. Sullivan non si è dedicato abbastanza alla Formula Uno, per lui era un hobby. Per gli altri il discorso è diverso. Non hanno superato la selezione, si dice così?
Perchè quel dietro-front con Mansell? Ad un certo punto della stagione 1983 sembrava irrimediabilmente compromessa la sua posizione in seno alla Lotus. Poi è venuta la conferma..
Credo che Mansell sia un buon pilota e quindi è giusto che sia finita così. Probabilmente speravano di avere qualcosa in più dalla John Player contano sul fatto che Nigel è un pilota inglese.
C’era anche Watson sul mercato..
Watson è irlandese. Giustissimo.
Quali sono gli avversari che rispetti maggiormente?
Piquet, Cheever, Laffite e Rosberg.
Cheever perché è tuo amico?
Eddie è un pilota valido ed intelligente. Sa come comportarsi. Sa esattamente come comportarsi anche quando sbaglia.
Ci sono piloti “non intelligenti” in F1?
Si, ma non mi sento di fare dei nomi.
Sono la maggioranza o la minoranza?
Una minoranza che spero si esaurisca in fretta.
Chi merita di prendersi delle rivincite nel 1984?
Quelli che l’anno scorso pilotavano vetture col Cosworth. Nel mio caso non si tratterà di rivincite, perché io debbo ancora ricevere qualcosa. Nella vita, in ultima analisi, tutto si bilancia. Un altro che ha dato molto e ricevuto poco è Riccardo.
Perchè Alboreto alla Ferrari e non De Angelis?
Lui ha saputo mettere a frutto l’esperienza degli altri piloti che hanno cercato di entrare alla Ferrari. Io non ci ho mai provato: quando fui inserito nei programmi della squadra di Maranello ero giovanissimo. Non ho mai pensato di pilotare la Ferrari. L’eventualità non si è mai presentata. Debbo dire che Michele ci ha saputo fare dal punto di vista diplomatico ed ha raccolto quanto ha seminato.
La scuola romana è più forte di quella lombarda in Formula Uno?
Forse è più forte la lombarda dei Giacomelli, degli Alboreto, dei Fabi, se si considerano i risultati.
Alboreto ha dichiarato che per un buon punteggio senza acuti nel mondiale ’84 non sacrificherebbe una vittoria in un gran premio. La pensi così anche tu?
Io credo di vincere il campionato del mondo.
De Angelis è più o meno popolare di Patrese, Alboreto, De Cesaris?
È allo stesso grado di popolarità.
Piloti di Formula Uno si nasce?
Si nasce e ci si costruisce per diventarlo.
Che cosa si deve fare?
Occore fare una scelta a 14 anni.
Invece del motorino, bisogna comperare il go-kart. Bisogna rinunciare alla prima ragazzina perchè non la si può portare in pista.
E alla seconda?
Alla seconda no. Però è una vita di sacrifici. La gente spesso non sa che la nostra è una vita difficile, una vita stressante. Un uomo che vuol fare carriera, ad esempio un imprenditore, ha vent’anni a disposizione per mostrare agli altri ciò che sa fare. Noi no, solo quattro o cinque. Dieci quando va benissimo. Quindi è tutto molto più accellerato. Si invecchia in fretta.
Se la gente dice che sei il più bravo pilota di Formula Uno, cosa rispondi?
Per modestia dico che si sbaglia. Ma in fondo so che sono il più forte.
E se dice che sei troppo ambizioso?
È così, lo confermo. L’ambizione è la voglia di riuscire e quindi una volontà fuori dal comune. Per me è strettamente collegata al successo.
Come si fa ad andare d’accordo con gli inglesi?
In un certo senso non mi piace il loro modo di vivere. Mi piace però il loro modo di definire le cose meccaniche, le loro macchine. Mi piace la loro mentalità da corsa.
Sei contento di essere italiano, oppure pensi di essere nato nel paese sbagliato?
Preferisco non rispondere, il discorso sarebbe molto lungo.
Lungo ma interessante.
No, io sono fiero di essere italiano. Ma molte cose dell’Italia non mi vanno bene.
Quali sono i tuoi colleghi coi quali usciresti volentieri a cena e chi, invece, eviteresti?
Mi fa piacere uscire a cena con Laffite, Nelson, Rosberg, Eddie. Un pò meno con Tambay, perchè non ci capiamo. Arnoux? Beh, è divertente.
Ti sei mai sorpreso di guardarli dall’alto in basso?
Sul piano umano, più di una volta. Spesso, durante le riunioni dei piloti, mi sono sentito un pesce fuor d’acqua. Non perché mi ritenessi superiore a loro ma perché non mi trovavo d’accordo su molti punti. Ho perfino pensato che alcuni di loro sapessero fare solo il pilota.
In Formula Uno è importante essere accettati dagli altri piloti?
Si, è importante. Ma tutti debbono conquistarsi i galloni sul campo. Io mi sento accettato dagli altri. Anche se il primo anno è stato difficile. Ricordo un diverbio con Alan Jones ed uno con Villeneuve perché non sapevo riconoscere bene le macchine dagli specchietti. Però l’anno scorso mi sono ritrovato io a chiedere ad un collega – ‘Ma tu li guardi gli specchietti?’ – Allora mi sono detto – ‘Avevano ragione’. Debbo peraltro aggiungere che in due anni io ho imparato a guardare gli specchietti. Altri no.
Che ricordo hai di Villeneuve?
Un ricordo affettuoso, perché nonostante ci fossimo detti ciò che pensavamo l’uno dell’altro, ci rispettavamo. Io più di una volta gli ho detto che era un pazzo, che si sarebbe fatto del male: lui era velocissimo, ma troppo istintivo.
Perchè gli appassionati italiano si scaldano poco quando sei tu a menare la danza?
Probabilmente perché non mi curo molto dello spettacolo. Ci sono delle astuzie che molti non comprendono. La ruota messa in un certo modo, la frenata particolare, il cambio degli pneumatici effettuato in un certo giro sono parte del mestiere. Anche io sono capace di sferrare… ruotate a qualcuno: ma non è detto che questo sia lo stile giusto. Gilles non aveva alcuno stile in questo senso. Però piaceva al pubblico proprio per questo. Ora è osannato, si costruiscono monumenti alla sua memoria… Io non voglio finire in quel modo. Non mi piace neanche pensare di essere ‘beatificato’. Gilles era un ‘puro’. Per questo ho cercato di avvertirlo.
Mettiamo che la sicurezza delle monoposto sia una linea da 1 a 99. In questo momento a che punto ci si ferma?
A sessanta.
Cosa può essere ancora fatto per migliorarla?
Dovrebbero essere ridotte le potenze dei motori, allargati gli pneumatici, riportare le pance dove erano prima per creare quella struttura che ora non c’è più; ora che abbiamo le pance corte e quindi un ostacolo laterale. Ormai le scocche sono sottilissime.
So che Tambay un giorno scriverà un libro sulle “sue” esperienze in Formula Uno: de Angelis lo imiterà?
Non ci penso proprio. Tambay ultimamente l’ho molto rivalutato, perché mi sono reso conto che ha svolto un buon lavoro con la macchina che aveva. Tempo fa i giornali riportarono una frase che mi ero lasciato sfuggire in camera – “Con la Ferrari sono tutti capaci a vincere” – e questo me lo ha inimicato. Cose che capitano.
D’altronde, io non sono andato a spiegargli come erano andate le cose perché in fondo penso che non sia uno dei piloti più veloci, anche se è dotato di una grande volontà ammirevole.
De Angelis sogna la Ferrari?
Certo. È stata aperta una strada, con Alboreto, e spero che il commendatore non la abbandoni.
Ti fa paura la superficialità degli altri?
Si.
Il giudizio più stupido che è stato dato su di te e quello più intelligente.
Sono sempre due giudizi inglesi. Quello più stupido appartiene a Denis Jenkinson, lo ricordo bene – ‘La più grande disgrazia che sia capitata alla Lotus negli ultimi quattro anni è stata avere De Angelis come pilota’. Il più bello, quello di Chapman, che mi ha paragonato a Clark.
Quando ti sei trovato sui giornali non per una ragione prettamente sportiva, mi riferisco all’incidente con Jenkinson ad Hockenheim, che sensazione hai provato?
Ho pensato che i giornalisti avessero fatto bene. Forse mi hanno dato morale. Mi è dispiaciuto soltanto per il fatto che da allora una parte della stampa britannica si è messa contro di me. Fino all’episodio della spinta a Jenkinson, si era dimostrata equa nei miei confronti. Oggi ci sono ancora molti giornalisti inglesi che tifano per me. Altri, i nazionalisti, sono per Mansell.
I dirigenti di Formula Uno sono “da Formula Uno”?
Sono adatti alla Formula Uno, ma non sono “da Formula Uno”. È come se tu mi chiedessi se quelli che governano in Italia sono adatti a farlo. Sono adatti, ma non all’altezza del compito.
I piloti di Formula Uno hanno delle paure?
Penso che la paura principale sia quella di morire, almeno è così per me.
Dove si deciderà il mondiale 1984?
Si arriverà alla calende greche. Sarà una lotta estenuante, a meno che la Lotus non vinca subito e si riveli una grande macchina.
Allora Elio è da amare o da esecrare?
© 1983 Autosprint • Di Ivan Zazzaroni • Published for entertainment and educational purposes, no copyright infringement is intended.